top of page

Vento di gaiezza



Era la prima giornata di primavera in cui lo Scirocco aveva smesso di soffiare, Demir lo notó subito nell’aprire la finestra, gli era sembrato che quel vento stesse continuando a tirare da che aveva deciso di farsi crescere i capelli.

Dopo anni di lavoro, era riuscito ad accettare la natura sottile del suo cuoio capelluto e, andando verso i trenta, si era convinto di non avere piú troppo tempo per nascondere l'inesorabile diradamento tra i riccioli indecisi e castani.

Alle tre di pomeriggio, con il ciuffo ancora posizionato nel punto in cui l’aveva fissato davanti allo specchio, stese rilassato la falcata godendosi il tratto di strada dalla fermata del 32 alle Fontanelle, il cocktail bar a Piazza Perin del Vaga dove lavorava come cameriere.

Baciato dal sole, oltrepassó il Tevere e non ebbe problemi a ricambiare lo sguardo curioso di due turiste spagnole. D’altronde, Demir era sempre stato un bel tipo: alto, slanciato, le spalle larghe, magro ma fascinoso come un modello, di quelli non troppo pompati, si poteva quasi dire un ballerino mancato. Poi aveva occhi dolci e allungati, un naso deciso, labbra grandi a fare da cornice a quei quadri di luce che erano i suoi sorrisi più sinceri.

Proprio per questa serie di ragioni il problema dei capelli gli aveva sempre provocato una certa sofferenza, era convinto che con un cuoio più corposo, più deciso, sarebbe stato esteticamente perfetto.

Fu un inizio di servizio leggero nonostante certi vassoi stracolmi, la tranquillità di non dover aggiustare il ciuffo ad ogni soffio di vento non lo faceva servire, lo faceva danzare tra i tavoli di turisti entusiasti di bere nel pomeriggio romano; la ciliegina sulla torta, con il primo caldo di primavera, fu la possibilità di arrotolarsi le maniche della camicia all’altezza dei gomiti, così da lasciare intravedere i tatuaggi nascosti sopra gli avambracci venosi.

Demir attraversó per l'ennesima volta l'ingresso, si fermó sull'uscio osservando i tavoli in piazzetta e, tenendo le mani dietro la schiena, non poté fare a meno di sentirsi appetibile.

Verso le cinque quasi tutti i turisti lasciarono il posto a certi liceali romani, un istituto privato aveva aperto da poco la sua sede in uno palazzo a Via del Vignola.

Durante la settimana gli studenti entravano alle dieci, così che la mattina, con le loro scoppiettanti macchinine 50, non avessero difficoltà a trovare posto nel parcheggio privato poi, quando uscivano alle quattro, si fermavano due, tre ore alle Fontanelle, ordinavano un caffé e caricavano almeno una decina di stick nei loro IQOS blu, bianchi o rosa, a seconda della personalità.

I loro sbraiti tra l’odore di tabacco bagnato aumentavano spesso l’insofferenza di Demir, come l’abitudine che avevano preso ultimamente certi maschietti del gruppo, che si mettevano dall'altro lato della piazzetta a fumare le canne palleggiando con un Super Santos.

Ma vento quel pomeriggio non ce n'era, e passate le cinque e mezza, nonostante il pallone avesse appena preso a viaggiare tra i lati della piazzetta, l'entusiasmo di Demir fu ripagato.

Arrivó uno di quei tavoli che gli piaceva servire, di solito erano vecchi universitari o giovani lavoratori, questi erano massimo sui venticinque ma, nel fare accomodare i due ragazzi e la rossa, fu contento di sentire di nuovo qualcuno vicino alla sua età.

«Vi porto il menù o sapete già cosa prendere?»

Sperò all’istante che l’omosessualità dei due non appartenesse pure alla ragazza dai capelli rosso fuoco.

«Sappiamo già.» Disse il tipo calvo, assumendo una posa a schiena dritta colma di entusiasmo. «Tre Aperol Spritz.»

«Per me Campari.»

Fu solo in quell'istante che il cameriere la guardò, il rosso fuoco del suo cuoio continuava nel carbone ardente dell'iride, e il sorriso che si scambiarono fu di quelli che sarebbero rimasti addosso per almeno un paio d’ore.

Aspettando i drink davanti al barista, Demir sentì il cuore battere, uscendo continuó a ignorare l'agonismo dei liceali nel palleggiare, era concentrato solo sulla scena che preferiva recitare al bar, l'avvicinamento alla ragazza puntata, col vassoio e un bel sorriso da servire.

Una scena che aveva imparato a gestire per un'occasione come questa, in cui sapeva che un minimo sarebbe stato ricambiato.

«Torno subito con qualcosa da stuzzicare.» Nel voltarsi si rese conto di aver contratto i glutei, gli sembró di aver rovinato tutto in un istante e maledisse quell’inspiegabile esigenza di sottolineare il suo culo quando sapeva di essere osservato.

Attraversó i tavoli cercando di attenuare con una lenta camminata di controllo, che però lo costrinse a piegarsi per raccogliere due bicchieri e sentì il brivido sulla schiena che nella sua testa aveva sempre significato una cosa.

Qualcuno lo stava fissando.

Ci pensò il Super Santos in arrivo dalla piazzetta a farlo tornare in sé. Il pallone era lento, ma due pomeriggi prima ne era passato uno più forte che per poco non aveva centrato una signora sulla carrozzina.

Demir smascellò e si limitò a stopparlo con nonchalance, non riusciva a capire dove trovassero la faccia tosta per continuare a giocare dopo essere stati ripresi più volte dai suoi colleghi.

«Scusami.» Disse lo studente, aveva gli occhi azzurri iniettati di sangue e il sorriso sporco dell’angelo corrotto, Demir, prima di aprire bocca spiò la sua folta chioma biondo platino.

«Ragazzi, ve l’ha già detto il mio collega l’altra volta, per favore…»

Per favore ripeté dentro di sé e gli passò la palla. Ogni volta che c’era da fare il duro tutta la rabbia si trasformava in un qualcosa che avrebbe destato imbarazzo.

Pensò che a una ragazza che beveva Spritz Campari, forse, sarebbe piaciuto vedere una reazione più decisa, ma quando tornò da loro con il piattino di pizzette non poté dire che non sembrasse ancora vogliosa di cercarlo.

Il cameriere, tuttavia, non andò oltre il suo ruolo, disse che se avessero voluto qualcos’altro da spizzicare avrebbero potuto chiedere, e nel congedarsi si limitò all'ennesimo sorriso, alla posa, all'accenno di inchino, tutta quella gestualità cortese, quella massima disponibilità che gli piaceva offrire ai clienti giusti, soprattutto in giornate in cui si sentiva così appetibile.

Fece un mezzo passo ma fu bloccato dalla voce del ragazzo calvo, si era rimesso nella posa entusiasta di prima e col fare del più raffinato dei principi napoletani domandò. «Scusami, come ti chiami?»

«Demir.»

«Oh che bel nome, senti Demir, ma te la posso fare una domanda?»

«Certamente.»

«Io e il mio compagno ci chiedevamo se tu per caso fossi gay…»

Un soffio di Scirocco si infilò tra i tavoli, il cameriere sentì i ciuffi alzarsi sulle tempie e rimase un attimo sull’espressione “per caso”, a suo parere aggiunta per colmare l’eccesso di audacia del principe.

Si prese un secondo e sorrise, nonostante il vento Demir non si scompose, era una domanda che gli era già stata posta da degli estranei, ma mai durante il servizio.

«No, non sono gay, e a differenza di molti posso dirlo dopo essermelo chiesto davvero un paio di anni fa. Non sei il primo a chiedermelo e come gli altri forse avrai pensato così perché sono sorridente e gentile, probabilmente avrò pure un modo effeminato di muovermi, ma no, non sono gay, mi piacciono le ragazze e…» Demir si bloccò, poi pensò che fosse troppo audace guardare la rossa e tornò sul principe sbirciandogli di proposito la pelata. «…E credo che sia un po’ maleducato chiedere una cosa così intima a un ragazzo che non conosci mentre ti serve vicino ad altri clienti.»

Arrivò una coppia di giovani turisti e fu l’occasione perfetta per dileguarsi senza aspettare risposte.

La rossa guardò mortificata i due amici e ammise. «Ha ragione…»

Il principe napoletano, masticando di gusto una pizzetta, rispose. «Amo', te l’avevo detto, ma tu volevi toglierti il dubbio, ed ecco fatto.»

Lei non ribatté, prese un’abbondante boccata del suo Spritz e guardò scomparire il cameriere dentro il locale.

Demir da un lato fu contento della sua risposta, ma dall’altro non riusciva a liberarsi da quella sensazione di nudità. Glielo aveva chiesto con lo stesso tono con cui ci si informava a proposito degli ingredienti di un drink.

Il barista gli disse di coprirlo per andare a pisciare e il cameriere, preparandosi un caffe, si specchiò nella lastra dietro la bottigliera. Cercò senza farsi vedere di nascondere la stempiatura esposta, però si rese conto di aver appena toccato la pezzetta per pulire il bancone, e il fatto che fosse pregna di un prodotto chimico gli fece pensare che quella sostanza, per contatto, potesse in un qualche modo inibire la sana ricrescita del follicolo.

In quel limbo entrò dentro la rossa e lo raggiunse di fronte al bancone.

«Scusami per prima, il mio amico è solo curioso.»

«Non ti preoccupare.»

«Ho visto che però non hai avuto problemi a rispondere.»

E così dicendo, si fece più avanti lasciando sul bancone un pezzettino di tovagliolo, poi chiese dove fosse il bagno, sorrise e scomparve giù dalle scale. Demir lesse il suo numero accompagnato dalle parole:

Scrivimi quando sei libero.

Pamela

Le gambe del cameriere tornarono a muoversi veloce per il resto del servizio. Pamela e i suoi amici presero un secondo giro di Spritz, lui ricambiò con un altro bigliettino chiedendo di uscire la sera stessa e lei, prima di andare, disse di sì facendo impazzire di gioia il principe e il suo fidanzato.

Il cameriere iniziò così a gustarsi il piacere dell’attesa, non gli era mai successa una cosa del genere e si decise che, a prescindere da come sarebbe andata, doveva riuscire ad offrire la versione migliore del suo essere uomo.

Una sensazione di potenza, che spesso soffocava con le canne, trovò voce alle sette e un quarto quando l'ennesimo passaggio sbagliato transitò vicino ai tavoli.

Demir, reggendo un vassoio con tre calici vuoti, si allungò per intercettare la palla, lo stesso angelo di prima lo raggiunse con gli occhi ancora più rossi, e il cameriere, con la suola sopra il Super Santos, lo guardò dall’alto dei pochi centimetri che li separavano. Il tono di voce basso, sfumato con l’accento di Cerignola vecchia, fu una naturale conseguenza.

«Oh trmò, ci avet' rot' 'u cazz'! Te l’ha ma ditt'. Ancor l’avet' capi' o stat 'trop awuandat?»

Calciò via il pallone e il dispetto colorò il viso dell’angelo, se ne andò via con un'aria più matura a cui Demir non fece caso, subito percorso dal brivido dietro la schiena. Questa volta stava dicendo che tutti i clienti lo guardavano fieri, soprattutto il titolare, almeno lui, arrivato in tempo per godersi la scena.

Il suo capo, Marzio Briscola detto Marte, notando in cassa la quantità di nero che era riuscito a fare Demir nel pomeriggio, invitò il cameriere a concedersi un meritatissimo prosecco per idratare uno stile di servizio che sapeva impeccabile. Nel brindare Marte lo guardò fiero e gli ripeté per l’ennesima volta il motivo alla base della grande stima che aveva di lui. «L’ho sempre detto, tu sei perfetto, sei un bel ragazzo, ci sai fare e piaci ai froci da morì; i cocktail bar come le Fontanelle dovrebbero essere sempre gestiti così, solo personale maschile di bell’aspetto, che va ad invogliare le fighe e i loro amici froci e, a sua volta, un locale pieno di figa ha sempre chiamato tanta minchia, e io c'ho il locale pieno.» Con la mano libera disegnò lentamente un cerchio a mezz’aria. «Te torna ‘a linearità der meccanismo? Perché se invece ar bancone, scusa la rima, ce mettevo er solito mignottone, tanto valeva che me ne stavo ar bar vicino la bocciofila de Guidonia Montecelio. O no?»

Demir non potè che constatare l’ineluttabilità della sua visione commerciale e tornò tra i tavoli, sotto sotto felice di fare parte di un progetto lavorativo sostenuto da idee per lo meno chiare e precise.

La puntualità del collega in cambio turno gli permise di essere pronto alle undici, la rossa tardò dieci minuti che furono sufficienti per un’ultima specchiata, per rollare una canna e caricarsi con due shot di vodka offerti da Marte alla notizia del suo appuntamento.

La serata con Pamela cominciò come il sequel del bel film che aveva visto nel pomeriggio, presero due birre e andarono a sedersi in un parchetto vicino, era quasi mezzanotte, non c’era nessuno e guidati dalle loro voglie, nel parlare e nel ridere a tempo, si ritrovarono a baciarsi; fu un’esplorazione dolce della terra sconosciuta e le loro mani si mossero lungo i confini sottili dei vestiti.

Nel buio del parco persino le insicurezze sessuali di Demir lasciarono spazio alla magia del momento.

Non voleva correre, sentiva che il finirci a letto sarebbe stata una naturale conseguenza, talmente logica che sarebbe potuto succedere perfino lì.

Si staccarono e si guardarono, Demir le chiese se le andava di fumare una canna e lei disse di sì, poi si scusò e andò a fare pipì dietro un albero vicino.

Il cameriere assaporò la prima boccata di fumo del dopo lavoro e portò ancora il filtro alle labbra, fece per tirare ma fu distratto dai passi sul sentiero ghiaiato. Dalla penombra emersero le figure di due ragazzi, uno più alto e grosso, l’altro mingherlino, e Demir lo riconobbe subito, l'angelo del liceo che giocava in piazzetta.

Il cameriere non seppe dire se a parlare per lui fu l’alcol o la sensazione di potenza, ma si imbarazzò all’istante nel sentire la provocazione uscire dalla sua bocca.

«Guardalo, il calciatore...»

L’angelo, in un primo momento titubante, si avvicinò seguito dall’amico gorilla e, appena notò Pamela, guardò il cameriere dritto negli occhi.

«Perché continui a fare il grosso con me? Cos’è, vuoi fare il figo davanti alla tua ragazza?»

Demir sentì dietro di lui Pamela e davanti il gorilla, lo ignoró e inizió a gesticolare arrabbiato con l'angelo, a sproloquiare su quanto fosse solo un figlio di papà scassa minchia e senz'anima.

Le sue non furono tante battute, il taglio di scena lo diede il gorilla. Dall’alto dei centimetri che lo separavano dal cameriere fece scendere una craniata stilisticamente perfetta.

Demir cadde a terra e Pamela urló, l'angelo si fece una risata, raccolse la canna e si portó via il gorilla dandogli una pacca sulla spalla.

Il cameriere alzó il naso all'insú, chiese un fazzoletto a Pamela e lei cercò senza speranza nella borsa, quando tornò a guardarlo per dirgli no, Demir abbassó la testa e una goccia di sangue scese sulle labbra. Era fredda come il viso di Pamela all'improvviso cambiato.

Fu colpito ancora una volta, l'espressione imbarazzata di una bella ragazza gli aveva appena comunicato che l'incantesimo era finito e nel tamponarsi il sangue con la maglietta furono due i pensieri ad arrivargli chiari chiari.

Uno, non poteva piú pensare di andarci a letto, come minimo non gli si sarebbe alzato.

Secondo, il giorno dopo si sarebbe di sicuro rasato i capelli, non era concepibile, persino in quel momento, pensare a quanto fossero esposte le sue stempiature.

134 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page