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Italian Social Victim - parte 2



Vins infilò la pistola nei jeans, prese l’iPad dallo zaino e tornò davanti alle due web star, presi finalmente posto dietro alla telecamera, dopo mezzo minuto gli dissi che ero pronto, mi fece un cenno e con la mano tremante chiamai l’azione, spiando gli ultimi due piani dell'attico di fronte.

«Buonasera affezionati follower di Italian Social Victim, o dovremmo dire buongiorno?

I nostri ospiti non possono rispondere, hanno deciso di tapparsi la bocca e lasciar parlare noi, ne siamo onorati visto che siamo a casa delle due social celebrity più importanti del panorama nostrano, Milena Valle e Riccez.»

Si rivolse al Rapper.

«Che dici, facciamo i galanti?» Gli diede un buffetto sulla sua guancia e andò a sedersi in grembo a Milena, tenendo l’iPad a mo’ di carpetta da presentatore TV.

«Salve signorina Valle, benvenuta, ora leggeremo assieme a lei il suo percorso pieno di sacrifici.»

Strinsi l’inquadratura tra gli occhi della Valle e il sorriso di Vins.

«Milena nasce nel ‘90 a Milano ma cresce a Senna Comasco, il padre è un noto imprenditore della zona e la madre, casalinga e scrittrice a tempo pieno, la cresce filmando lei e le sorelle in una diretta continua tipo casa delle Barbie in Brianza.

Milena è brillante negli studi, disinibita nelle relazioni, così, una volta finite le superiori inizia ad aver ben chiara la carta migliore da giocare per il futuro.»

Si alzò stringendole la mascella.

«Ed è proprio questo visino fotogenico alla Kate Moss, o no? Leggermente più pulito e molto più imprenditoriale, a maggior ragione poi, se questo visino viene abbinato a splendidi vestiti con cui si fotografa fin dall’adolescenza.»

La mollò e iniziò a girarle attorno, io controllai ancora l'attico.

«Arriviamo al 2008, la social society sta nascendo e dopo la maturità, e una parentesi su Netlog come Diavolessa90, parte alla volta di Milano. Nel capoluogo lombardo si contestualizza senza problemi come il simbolo di molti giovani d’oggi, così assuefatti da sé stessi e dai like da credersi potenziali artisti, magari spinti da un contesto famigliare spavaldo e radical chic.»

Vins si mise sorpreso la mano davanti alla bocca.

«Oddio, ho detto radical chic, lo so, una parola odiosa solo a sentirne il suono, ma lei si iscrive alla Bocconi, che non finirà mai, tuttavia certi salotti le fanno incontrare un finanziere sempre a spasso fra Milano e Los Angeles. E grazie al suo portafoglio, unito ai risparmi accumulati nel fondo fiduciario di famiglia, lancia il mitico blog dove lei è la modella, l'influencer e Giunone in terra, The Gold Closet.

La social society sta esplodendo, la pubblicità sta cambiando e Milena è brava, non c’è dubbio, capisce come spendere al meglio comprando follower quando nessuno lo faceva, investe in location da sogno e in un dream team che lavora per lei.

È progettuale, manageriale, e ce la fa, quello che lancia è un nuovo modello, milioni di ragazze impazziscono nel vedere il suo American dream; ora non vogliono più diventare Britney Spears, ma Milena Valle.

Le case di moda si assembrano per farle sponsorizzare i più bei vestiti sulla terra, l’Italia la celebra e ora, passata la soglia dei trent’anni, sta producendo il film sulla sua vita, La mia favola

Ed è proprio da questo titolo che vorrei partire per la mia prima domanda.

Ci penso da che l’ufficio stampa ci ha comunicato il vostro ok per l’intervista, ecco signorina Valle, mi chiedevo, ma se per frequentare l’università e vivere a Milano avesse dovuto fare la cameriera per mantenersi, sarebbe lo stesso quello che è oggi?

Sa, glielo chiedo perché non riesco proprio a capire dove sia questa favola da vendere. Lei era già benestante e non ha mai dovuto lavorare sul serio; dov’è quindi il vero sacrificio nel suo progetto?»

Si fermò e, con la carpetta dietro la schiena, le andò vicino tutto scocciato. «Non mi dica quello di scegliere l’abito o l’uomo giusto perché non saprei cogliere l'ironia. D’accordo, lei è stata bravissima a capire che il mondo stava cambiando, ma solo perché non è mai stata distratta dai veri problemi della vita. Poi voglio dire, messa da parte questa bravura, si rende conto che non c’è più nessuna differenza tra lei e una qualsiasi modella?

Va beh certo, a parte piedi più piccoli e gambe più affusolate, ma quello che vorrei farle capire è che il saper scegliere un outfit non le dà il potere di influenzare. È un attimo più sottile la cosa.

Le spiego, forse sua madre era troppo impegnata con gli album delle Barbie e magari si è scordata di insegnarle che per influenzare ci vuole altro.»

Si fece dolce all'improvviso.

«Lo so che è nata in questo social mondo di merda, lo so, ma quando cinquant’anni fa il pianeta era ancora a misura d’uomo, c’erano i grandi artisti, le case di moda, le attrici, le cantanti; ed erano loro che con il glamour del loro talento influenzavano le masse.

Usiamo l’esempio dell'attrice che di solito funziona; pensi a una ragazza della sua età, dieci anni fa è partita per la città con i soldi risparmiati dai genitori per il suo futuro, quei soldi le consentono di iniziare l’accademia, di prendere una stanza, poi finisce gli studi, e con essi anche i dindini, allora si barcamena tra un lavoro e l’altro, tra un provino sbagliato e ruoli osceni. Ma non si perde, passano gli anni, si avvicina ai trenta e succede qualcosa, si trova finalmente nel posto giusto, ottiene la parte, sta simpatica al regista, conosce l'ambiente e il film si rivela un successo. A quel punto eccola, la chiamata per una copertina sull’importante rivista di moda.

Quando quella ragazza, anzi, quando quella donna sorride con i sacrifici negli occhi, apparendo per forza di cose molto fashion, non sta solo dettando le tendenze della prossima stagione, sta rappresentando il sogno, la speranza di tutte le ragazze che cercano di affermarsi.

Altrimenti è solo un bel corpo nell’abito, una modella appunto, tutto qua, senza nessuna offesa ovviamente.»

La dolcezza di Vins sparì assieme alla precisazione.

«Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Lady Gaga, loro erano e sono vere influencer, non tu. Bisogna essere cenerentole o artisti, non figlie di papà con la smania di apparire, capisci?

Tra l’altro, te lo sta dicendo il rampollo di una delle dieci famiglie più ricche d’Italia.»

Non capii il motivo di quel dettaglio intimo, rimase perplesso anche lui, poi fece finta di sbatterle l’iPad in faccia.

«Ma che cazzo vuoi capire tu?»

Il Lei usato da Vins sparì del tutto.

«Ti rendi conto che sei solo una paparazza di te stessa, state lì a far vedere la bella vita quando il vero vip è quello che non si vede mai, poi vi lamentate perché la gente vi odia nei commenti. Ma scusa, avete il coraggio di schiaffare in faccia il privilegio a una generazione a cui hanno venduto il like come massima libertà, e vi sorprendete che poi ci incazziamo, ma lo vedete il mondo là fuori?»

Vins andò davanti a Riccez.

«Adesso cominciamo con te, piccolo trapper coglione tatuato, un altro che a vent’anni si è fissato con l’idea di diventare famoso, un senza palle che in seconda superiore ha lasciato la scuola per fare musica, e i suoi, invece che mandarlo a lavorare, gli hanno fatto lo studio di registrazione in cameretta…

Non vali un cazzo, sei solo una scimmietta che con il suo ego ha contribuito a fare del like la nuova misura del mondo.»

Gli diede uno schiaffo di rovescio e Riccez andò con la faccia sulle cosce della Valle, lo tirò su, continuò a urlargli chissà che ma non lo stavo più sentendo.

Venni percorso da un brivido, non avevo più riguardato l'attico, il brivido divenne un leggerissimo bagliore lontano nel buio, un’ombra impercettibile.

Ci misi un altro secondo a capire che dal palazzo di fronte qualcuno ci stava filmando.

«Vì!»

«Sei contento che ti hanno confermato come giudice di The Voice eh? Adesso ti esce pure l’album nuovo…»

«Vins!»

«Che c’è?» Urlò quasi sbavando.

Mi guardò, poggiò l’iPad a terra e seguendo i miei occhi andò ad appiccicarsi alla vetrata.

«Gran figli di puttana!»

Si tirò giù i pantaloni e iniziò a fare l'elicottero col cazzo, non potevo crederci.

Nello stesso istante in cui feci per avvicinarmi si coprì, mi venne incontro e stringendo la pistola mi prese la faccia tra le mani.

«Fammi dire l'ultima cosa e andiamo.»

Come al solito non riuscii a spiccicare una parola, immobile, lo guardai rimettersela nei jeans e tornare su Riccez; aprì la fotocamera dell’iPad e lo prese per i capelli.

«Allora, ringrazia che dobbiamo scappare perché stavo per far vedere a tutti quel pisellino che ti ritrovi.»

Si inginocchiò vicino a lui e gli strappò lo scotch dalla bocca.

Il suo urlo fu una naturale conseguenza.

«Ripeti con me: vendere un like è diverso da vendere un CD, avanti.»

«Vendere un like è…»

«…Diverso da vendere un CD. Un click non costa nulla a un ragazzino cresciuto con gli smartphone invece che con i libri.»

Riccez iniziò a ripetere, intanto, senza che Vins se ne accorgesse, spensi e staccai la videocamera dal treppiede, misi tutto nello zaino.

Vins lo stava continuando a filmare mentre il trapper a occhi chiusi ripeteva.

«Non mi devo vantare su Instagram dei moderni dischi d'oro…»

Non resistetti più.

«Vì ti prego andiamo!»

Mi ascoltò, chiuse il video ma nel silenzio della sala, dopo il suo primo passo, sentimmo suonare il campanello.

«Signor Viennesi, signorina Valle, va tutto bene?»

Riccez urlò e Vins lo stese al volo con un cazzotto, prese la pistola dai pantaloni e si fiondò verso la porta d’ingresso.

Osservò nello spioncino e poi mosse qualche debole passo verso la sala. «Ale fuori ci sono almeno sei poliziotti.»

«No, merda no!»

Il campanello suonò di nuovo e lui continuò a muoversi per la stanza toccando qualche volta l’iPad, si fermò sorridendo.

«Almeno l’ultima parte dell’intervista è online, ce l’abbiamo fatta.»

Mi abbracciò.

«Vì ma che cazzo facciamo adesso?»

Non mi rispose, lo vidi chiaramente caricare la pistola nell’andare verso la vetrata, lo raggiunsi, gli misi le mani addosso. Il campanello suonò ancora e lui si liberò da me, mi guardò dritto negli occhi alzando la pistola.

«Sai, quest’ultimo colpo mi ha fatto rendere conto di una cosa tanto stupida quanto ovvia.»

Dopo un altro suono di campanello seguì una voce lontana.

«Polizia, stiamo per entrare.»

«Pensavamo di essere così superiori, ma in verità Ale siamo noi i veri social victim, solo a noi tutto questo dà così fastidio.»

«Che cazzo dici?»

Si allontanò dal mio tentativo di prendere la pistola che ormai aveva già appoggiato alla tempia.

«Mi sento all’improvviso io il coglione.» Disse con degli occhi languidi che non gli avevo mai visto.

«Se vuoi farlo anche tu amico, qui ci sono due colpi, a te la scelta.»

Non feci in tempo a urlare che il boato inghiottì la mia voce, chiusi gli occhi e il sangue mi arrivò sulla faccia.

In un attimo era già a terra con un lago crescente dietro la testa.

Raccolsi la pistola e mi voltai verso la porta, appena la vidi aprirsi chiusi gli occhi e tirai il grilletto.

Click.

Provai ancora e ancora, poi urlai, la porta si aprì e i poliziotti entrarono. «Mani in alto, getta subito l’arma a terra!»

Ci riprovai un'altra volta e iniziai a piangere, poi le ginocchia sul parquet e il dolore immenso di un proiettile conficcato nella coscia.

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